Giulietta Goffredi

Lug 9, 2013 | Caffé Nichilismo, Leggi | 1 commento

(in collaborazione con Alvise Marinetti)

C’erano ancora i suoi piccoli piaceri borghesi: una sambuca al bar con l’architetto, una partita a canasta con le sorelle Squinzi, un the dallasignorina Romoletti, e poi a trovare il professor Bassi, suo relatore di tesi, ormai ottuagenario. La solita visita alla zia nubile.

Nel portafogli sempre quella foto, seppia, di lui in uniforme prima di partire per la Grecia. Dietro solo una data “Marzo 1941”. Di lui le rimase solo quella foto e la bicicletta da uomo che le aveva prestato. Il resto se lo prese l’Albania. Giulietta fuma ancora tutte le sere una sigaretta, sempre una, sempre prima che faccia buio, pensando a come sarebbe stata se fosse tornato, e quel fumo le ricorda quello che saliva dalle sigarette di lui, trinciato nazionale arrotolate nella velina, forti come il loro vincolo. Fumo azzurro, da sigaro, ma sigarette snelle come i proiettili del fucile Mod.’91.

Aspettare aspettare.

1943. Niente.

1944. Niente.

1945. Una falsa notizia di un amico tornato dalla Russia.

1946. Niente

1947. Gli ultimi reduci. Niente.

Gli ultimi 20 anni. Niente.

Niente, ecco quello che è diventata Giulietta Goffredi.

Chiusa nella sua stanza al piano nobile di Palazzo Savorgnano, circondata dalle piccole cose di pessimo gusto, circondata da ricordi troppo brevi e durati troppo a lungo. Ricordi dell’amore per Paolo Arcose, conte di San Giovanni.

Pensare che il ragionier Li Scalzi le aveva iniziato a fare delle strane proposte nel ’51 ma lei niente, continuò a girare a testa alta. Figuriamoci, lei con Li Scalzi. Lei, che aveva ballato con il principe di Napoli nel ’33. A lei faceva le avances il ragioner Li Scalzi, che se lo ricordava quand’era monello che la famiglia stava a mezzadria in uno dei poderi di Paolo e la madre a servizio. Lei subire le avances del ragionier Li Scalzi, uno che ora faceva il capoccia solo perché nel ’44 sapeva sparare col parabellum e aveva il fazzoletto rosso al collo.

Giulietta avrebbe continuato a girare a testa alta ma ormai la pensione non bastava più, e la sorella di Paolo non si faceva più sentire, non la invitava più a Villa Rossi per l’estate.

Dalla finestra d’angolo al terzo piano di Palazzo Savorgnano, quella su Via della Sfera, la strada era viva: la gente ci si muoveva come l’acqua di un ruscello montano, come quella del Boite in Cadore, dove l’aveva portata Paolo nel ’38.

Giulietta si tolse le scarpe, salì sul davanzale, e fece un passo avanti. Per andare incontro a Paolo, che l’aspettava dal 1941.

FIN.

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